lunedì 7 ottobre 2013

Paciano - Monte Pausillo

Un fine settembre, caldo e soleggiato, ci ha ispirato l’ ennesima escursione nella nostra dolce Umbria, sempre mossi dalla ricerca delle origini, dal desiderio di guardarci attorno salendo in alto,  dalla voglia di sole e benessere!
Questa volta siamo andati a Paciano, noto borgo delle terre del Trasimeno, conosciuto ai più per essere stato definito da Airone villaggio ideale d’Italia; a noi ci interessa perché da Paciano proviene la mia famiglia paterna e questa storia voglio raccontare, nei luoghi in cui si è svolta, ai miei figli!
La strada che ci conduce a Paciano, costeggia il Lago Trasimeno e ci offre la visione di un rilassato paesaggio lacustre … viene la voglia di fermarsi, ma non indugiamo perché un bel percorso ci attende: l’anello Paciano-Monte Pausillo. 
Entriamo a Paciano dalla porta Fiorentina, ma prima ci soffermiamo, appena fuori, accanto alla facciata della Chiesa di Santa Maria dell’Assunta; c’è la casa dove è nato mio padre e dove ha vissuto fino al 1957 quando, appena11-enne, si trasferisce con la famiglia a Perugia, in cerca di lavoro, ricongiungendosi con le sorelle che già erano partite a cercar fortuna e lavoravano come cameriere in un albergo: era l’Italia che si riprendeva dal secondo conflitto mondiale,  si smetteva di fare i contadini, si fuggiva dalle campagne e si inseguiva in città il mito del miracolo economico! Passaggio che più tardi si rivelerà tristemente drammatico.  
Passeggiamo fino alla piazza del municipio, facciamo colazione al baretto, avvolti dall’atmosfera domenicale del piccolo paese, quattro chiacchiere con chi sembra esperto dei dintorni ed eccoci all’uscita del paese per la porta Rastrella a pochi passi dall’inizio del sentiero che porta al monte Pausillo, un’ampia strada bianca dai panorami distesi sul Trasimeno e la Valdichiana; stiamo affrontando l’itinerario trekking 29, al contrario rispetto a come indicato sulla mappa…ma fa lo stesso, meglio fare la salita all’inizio ed effettuare il rientro in discesa!


Giunti alla cima, ci concediamo la consueta sosta, al sole, a bordo sentiero, in una piccolissima radura sommitale prima di discendere per l’interno del bosco. Il sentiero è ora ombreggiato, si tratta di una strada di crinale fra il Petrarvella ( il monte dove sorge il paese di Paciano) e il Pausillo, segnalata come MOLTO PERICOLOSA per le mountain bikes, facile e piacevole per chi va a piedi.  Si esce dal bosco all’altezza di casa Bigiarello, ed eccoci al fonte delle lavandaie e alla Porta Perugina. Rientriamo in paese e ci concediamo un ultimo girovagare e giocare con i bambini alla ricerca di segni, particolari, testimonianze che ci possono raccontare qualcosa sulla storia del paese.  
Oramai questo gioco ci piace un sacco  e lo facciamo un po’ ovunque! E così cominciamo a notare che si tratta del classico castrum medievale, al di fuori del quale ben poco è stato costruito e che non dispone di una vera e propria cinta muraria, ma di case-mura e case-torri attaccate l’una all’altra.  Su queste mura si aprono le 4 porte, due delle quali orientate verso le principali città del territorio circostante da cui il nome Fiorentina e Perugina.  Poi ci mettiamo a contare le chiese, ci aspettiamo di trovarne in un numero esagerato per le dimensioni del paese, ma sappiamo che è così un po’ in tutta Umbria, anche qui, le 5 chiese interne, più le 3 esterne, testimoniano la presenza di varie confraternite religiose e ci dicono molto di come dovessero essere una sorta di attuali poli di aggregazione… per la gestione della vita sociale, culturale, assistenziale, economica; una società medioevale tutta permeata dalla religiosità! 
Immancabile la piazza centrale su cui affaccia il palazzo del municipio. 
Il reticolo della città è pressocchè ortogonale con varie zone irregolari, dove si nascondono gli scorci più caratteristici. Le case ci appaiono costruite con una semplice tecnica, ovviamente non dovevano disporre di adduzione dell’acqua o fognature, ecco perchè la presenza del pozzo e varie fontane; non mancano le case delle famiglie più ricche e potenti immediatamente riconoscibili per le dimensioni, lo schema  a corte e qualche elemento decorativo più curato.
Anche la toponomastica ci aiuterebbe per fare altri giochi…ma, mi viene un’altra idea: la prossima volta ci torneremo con il nonno e la zia e ci facciamo fare da loro una visita narrata, piena di ricordi e aneddoti più recenti!

domenica 21 luglio 2013

Il lavandeto di Assisi

E' una pianta generosa e con pochissime esigenze ... e questo è il tempo della sua fioritura ... la lavanda!
Domenica 30 giugno siamo andati al Lavandeto di Assisi, in località Castelnuovo di Assisi, ad ammirare la fioritura in un grande campo giardino: lunghi filari di lavanda bianchi, rosa, blu e viola incorniciati dal classico paesaggio di Assisi.
In occasione delle fioritura il lavandeto organizza tutti gli anni la Festa della Lavanda, una serie di iniziative molto carine e interessanti intorno agli svariati usi, modi, coltivazioni di questa pianta e molte altre varietà di piante officinali.
Fra le tante proposte noi abbiamo frequentato un piccolo corso di pittura botanica con il maestro Angelo Speziale.
Angelo è un pittore naturalista che vive a Bevagna e in occasione della Festa della Lavanda insegna alle persone ad osservare e riprodurre le meravigliose geometrie della natura che ci circonda!
Il grande campo di lavanda si poteva visitare liberamente o accompagnati dai coltivatori, nel giardino tanti piccoli stand in cui svolgere interessanti attività come appunto la pittura botanica, oppure la distillazione dell'olio essenziale di lavanda, oppure la preparazione di tisane o la realizzazione di bouquet.
Nel frastuono generale delle tante iniziative estive...questa mi è sembrata delicata e sensata, frutto del lavoro, della passione e creatività di persone molto disponibili e aperte!
Visualizza tutte le immagini al lavandeto


martedì 18 giugno 2013

Il romitorio di Monte Malbe

Mi piace tanto fare escursioni a Monte Malbe, in varie stagioni dell'anno; vado e inseguo i miei ricordi di bambina.
Fino ai primi anni 80 a Monte Malbe, in località Monte Pulito, ci viveva in una bellissima casa rurale la mia bisnonna con quello che rimaneva della sua grande famiglia colonica, la bisnonna Ida deteneva ancora un contratto agricolo di mezzadria con il proprietario del podere, un contratto che è durato fin a quando la legge italiana lo ha permesso, dopodichè, lo ricordo ancora benissimo, dovette ottantenne abbandonare la casa in campagna e trasferirsi in città a Perugia, morendo quasi subito dopo.
Fino a quel momento io ho potuto andare quasi tutte le domeniche a "scuola di ruralità" nella casa di Monte Malbe della bisnonna. Tutto quello che so di pratico e contadino lo ho imparato lì: la raccolta dei funghi, la raccolta degli asparagi, le erbe selvatiche, andare a fare la macchia ( raccolta della legna), la cucina tradizionale umbra ( la torta al testo, la torta di pasqua, la macellazione del maiale) e ancora i segreti della vigna, la raccolta delle olive, tutto quello che conosco di alberi, arbusti e animali da cortile e del bosco... Anche la mia passione per la geologia credo sia iniziata lì, amavo la terra rossa di Monte Malbe dalla quale uscivano fuori bei ciottoli bianchi, più tardi avrei imparato che si
trattava di scaglia rossa e calcari. Racconta mia madre che quando da piccola, tornando a casa da Monte Malbe di sera, mi si apriva davanti il paesaggio illuminato della città di Perugia adagiata sui suoi colli, dicessi sempre: "Pugia mia!" (Perugia mia!).
Insomma amo Monte Malbe.
L'itinerario che ho fatto sabato mattina parte dal Colle della Trinità, arriva al Romitorio di Monte Malbe, ossia all'eremo di San Salvatore e continua ad anello ( lato Corciano) sino a ritornare al punto di partenza.
Il romitorio, agli inizi degli anni settanta, da bambina, era ridotto ad un cumulo di materiali ricoperti di erbacce, oggi è completamente restaurato.
Abbiamo iniziato il percorso dall'ingresso di Colle della Trinità poco sopra al camping il Pettirosso, il primo paesaggio che si ha è di tipo agricolo, giunti al Podere Le Trosce, si lascia la casa colonica sulla destra e si entra nel bosco di lecci. La selva di Monte Malbe è bella e generosa. All'inizio si segue il sentiero n.2 delle Trosce, poi si trova una deviazione per il Romitorio, dopo aver attraversato un canalone torrentizio (che potrebbe essere anche una dolina), ci si imbatte in una troscia: espressione della formazione calcarea del monte, un piccolo invaso di acqua di sorgente alla quale si dissetano gli animali. L'uomo è intervenuto facendo dei piccoli
muretti e un arco di tenuta. Alzando gli occhi ecco che si scorgono non lontane le mura del romitorio.
L'ultima volta ci eravamo stati in inverno provenendo dal lato opposto del monte per il quale adesso ci siamo tornati indietro completando la passeggiata.
L'eremo si può osservare solo da fuori, furtivamnete possiamo scattare qualche foto tra la recinzione.
Ogni volta che ci vengo non ci vedo mai nessuno dentro, mi domando, perchè tenerlo chiuso, perchè i camminatori non possono goderselo?
Questa è la storia dell'eremo:
un documento conservato nel monastero di Fonte Avellana ricorda come giorno di consacrazione della piccola chiesa all'interno contenuta il 22 febbraio e la sua dedicazione ai santi Salvatore, Maria, Giacomo, Cristoforo e Nicola; incerto, però, è l’anno. Nel 1139 l’eremo è comunque annoverato tra i beni della congregazione del monastero di Santa Croce di Fonte Avellana, nella Diocesi di Gubbio. Frequentato in seguito dai cosiddetti “fraticelli”, noti anche con l’appellativo di “fraticelli eretici”, e successivamente dai frati francescani di Perugia, nel 1507 tornò in possesso dei monaci di Fonte Avellana. Nel 1523 fu aggregato agli olivetani di Monte Morcino, fino alla metà del XVI
secolo quando tornò ancora in mano degli avellaniti. Nel 1569, anno in cui la congregazione venne soppressa, fu declassato da priorato a semplice commenda. Alla fine dell’Ottocento il complesso era ancora annoverato tra le spettanze del Seminario vescovile di Perugia finché, già al principio del XX secolo come beneficio semplice, viene acquistato da un possidente locale...che lo tiene pressocchè sempre chiuso.
Va beh, è bello anche venirci così, noi in genere ci fermiamo presso le mura a fare uno spuntino e spesso ci mettiamo a fare un disegno dal vivo di alcuni particolari che possiamo vedere magari arrampicandoci un pò...
Poi ripartiamo.
Il sentiero ci porta fuori dalla macchia, all'interno della quale in inverno facciamo sempre scorpacciate di corbezzoli ( in perugino le piante dei corbezzoli le chiamiamo "lalleroni"), adesso è tutto un fiorire di ginestre, cisto, rosa canina, prugnolo...
Si spunta fuori sulla strada che in salita ci riporterà alla sommità del Colle della Trinità: il punto di partenza. Corciano è di fronte, quasi a ricordarci che il territorio di Monte Malbe è anche suo e non solo di spettanza di Perugia. La storia ci dice che se lo sono conteso dal 1200 al 1800. Un tempo doveva essere una importante fonte di risorse: legno, calce, carbone, prodotti del sottobosco, e poi tutto il periodo della mezzadria che dopotutto ha permesso una buona conservazione del paesaggio agricolo.
La prossima volta vi racconto di altri itinerari a Monte Molbe.
Varie foto di escursioni al Romitorio di Monte Malbe

lunedì 3 giugno 2013

Cannara di fiori colorata!

Lo scorso fine settimana il centro storico di Cannara si è vestito di fiori per celebrare, come da tradizione, la festa del Corpus Domini.
E' una festa interessante l'Infiorata di Cannara, anche per chi non vuole considerarne l'aspetto religioso.
Un'esperienza sensoriale, una manifestazione artistica, un evento di grande valenza sociale.
Cospargere le strade con petali di fiori per onorare il passaggio del Corpo di Cristo è un'usanza antica che a Cannara risale al 1826.
Quella di Cannara è l'infiorata più antica dell'Umbria.
Ma il primo tappeto policromo realizzato secondo precisi disegni, quindi non solo un casuale spargimento di fiori, avvenne più tardi, nel 1950 in Via Ettore Thesorieri per opera del signore Mario Preziotti. Da allora gli abitanti di Cannara cercano di mantenere viva questa tradizione e arricchirla di anno in anno raffinando le tecniche realizzative.
La prima volta che sono entrata in contatto con la comunità cannarese dedita all'opera della realizzazione delle infiorate era il 2004 e avevamo appena avviato la nostra avventura imprenditoriale della Tana Libera Tutti.
Siamo entrati da stranieri a Cannara, al lavoro in ostello, nessuno di noi del posto, nei giorni della preparazione della festa, ricordo le scatole di petali variopinti disposti al sole ad asciugare ad ogni angolo del paese, ricordo il lavorio di bambini e anziani nei fondi e
cantine, la mia curiosità di osservarli nei loro gesti sapienti, con strane attrezzature spela-fiori, ricordo l'orgoglio con cui l'infioratore Fausto, uno dei primi cittadini cannaresi che ci è stato vicino, ci raccontava e dimostrava come si fà con bacche fiori, infiorescenze e bozzetti.
Sono passati un bel pò di anni, la nostra esperienza d'impresa sociale nel paese è maturata e mutata tante volte assieme alle persone che ne sono state protagoniste, ma il momento della festa delle infiorate rimane sempre emotivamente coinvolgente, come quella prima volta in cui ci siamo trovati travolti dentro.
Travolgenti sono gli stimoli sensoriali: i colori, i profumi, i suoni. Mille sfumature di giallo, rosa, rosso, verde, viola; odore di finocchio selvatico, rose, camomilla...e tante voci del paese dedito all'opera, poi la musica della banda, e il chiacchiericcio degli avventori.
Ci sono maestri infioratori che ne hanno fatto una vera arte, un sapere oramai ben codificato: c'è chi lavora il fiore fresco realizzando soprattutto disegni geometrici, chi il fiore secco ottenendo polveri sottili con cui si possono riprodurre fedelmente soggetti pittorici in notevole dettaglio.
Ma questi artisti infioratori non possono prescindere dai semplici collaboratori, il popolo, diverse generazioni fianco a fianco, che disegnano la strada con i gessi, bagnano con l'acqua, dispongono i petali o preparano qualcosa da mangiare nella lunga notte di sabato in cui si realizzano i tappeti.
L'infiorata è una grande opera popolare dove ogni cittadino fornisce il suo contributo, sì possiamo proprio dirlo, ogni cittadino!
Questo grande senso di identità collettiva mi ha sempre colpito e nel nostro lavoro di "albergatori sociali" abbiamo sempre cercato di narrarlo ai nostri viaggiatori, molte volte ci ha fatto sentire esterni, diversi, intesi come "altri", non posso nascondere la fatica di fare i conti con questo aspetto!
Ma ancora insistiamo nel cercare di interiorizzare i più bei elementi dell'entità collettiva cannarese e lo facciamo, studiando la storia, osservando, curiosando, entrando nelle case degli artisti, nei musei, parlando con tutti, raccontando tutto quello che impariamo agli ospiti che vengono a dormire in ostello o a mangiare in ristorante.
Non è anche questa una sfida? Ecco, anche noi con semplicità vi facciamo vedere attraverso queste foto cosa è...la "nostra" Cannara,  la Cannara in cui abbiamo deciso quasi 10 anni fa di intraprendere, cambiare e aprire un pò le menti, includere...e c'è chi lo chiama solo turismo!
Sabato sera - la preparazione
Domenica - l'opera realizzata, la processione e una passeggiata per il paese




giovedì 23 maggio 2013

Montelabate e i suoi castelli

Questo itinerario ci porta indietro nel tempo nel periodo più oscuro del medioevo, quando, dopo la caduta dell'impero romano anche in Umbria le terre erano abbandonate.
Siamo a circa 20 km nord da Perugia, in località Montelabate.
A sovrastare la zona che è tutta un rincorrersi di colline, vi è l'Abbazia di Santa Maria di Valdiponte, oggi nota come Abbazia di Montelabate: un antico complesso monastico benedettino di stupefacente bellezza!
C'è un anello di circa 7 km che si snoda fra quelli che un tempo erano i vasti possedimenti dell'abbazia. Ci sono stata in una bella giornata di sole.
Mi è sempre piaciuto qui, mi ci portavano da bambina a prendere il fresco lungo il torrente Ventia,  un luogo familiare dato che il mio nonno materno nell'immediato dopoguerra percorreva la vallata della Ventia regolarmente per recarsi da Gubbio a Perugia in cerca di lavori come muratore; mi sembrava un posto segreto da piccola, ancora lo è credo; più di una volta ci sono tornata da adulta clandestinamente, quando ancora la sentieristica non era tracciata, cercando sempre di "violare" le mura dell'abbazia, ma non mi è mai riuscito di entrarci regolarmente, ( a tutt'oggi è visitabile solo su prenotazione). Tutto questo non ha fatto altro che accrescere in me l'immaginazione sulla storia antica di questo posto.
Come dicevamo, nell'alto medioevo, i monaci benedettini, fedeli alla regola Ora et Labora, si insediarono in queste terre recuperandole e offrendo protezione alle persone che accettavano di lavorarle. I monaci assegnavano dei terreni da coltivare, con contratti detti “enfiteutici” o “di livello” per i quali i lavoratori dovevano dare dei beni in natura al monastero quali: uova in occasione della Pasqua, una spalla di maiale per la festa dell’Assunzione e quattro capi di pollame per Natale.
Questi tributi venivano poi, ridistribuiti tra i più poveri; infatti ai monaci, le regole, impedivano di vivere del lavoro altrui e di mangiare carne.
Così facendo, a partire dalla fondazione risalente al 996, fino al XIII secolo, all’apice del suo prestigio, l’Abbazia divenne la più grande potenza religiosa ed economica del perugino: contando 30 chiese parrocchiali e 20 castelli.
Durante l'escursione si possono osservare i campi della antica proprietà fondiaria, in parte ancora produttivi e rigogliosi di olivi, i ruderi delle mura di uno dei tanti castelli (chiamato il castellaccio) oggi completamente colonizzato dagli alberi, un tempo ricovero per i contadini, poi ancora, sulla cima di un colle a metà percorso circa, si scoprono i resti delle mura di Castiglion Fidatto, antichissimo presidio fortificato abbandonato nel Cinquecento fra le cui case venne stilato il testamento del 996 che consentiva all’Abbazia di prendere possesso dei numerosi terreni.
Lungo l'itinerario si scorgono anche segni di una storia più recente, 2 case coloniche: una ancora abitata al centro di una gran bella azienda agricola, un'altra abbandonata nel dopoguerra, casa Libraro, un escursionista attento può notare sotto uno strato di terra, la bella strada lastricata che conduceva a queste case.
Coi i bambini si può giocare a riconoscere gli arbusti più diffusi: ginestra, cisto, rosa canina, ginepro, rovi...; e poi si può far capire benissimo come e dove gli alberi hanno colonizzato gli antichi terreni agricoli medioevali: si aprono ogni tanto delle radure boscate di cerro e roverella che piano piano si sono mangiate i campi.
Dato il periodo di abbondanti piogge, il sentiero in molti tratti era fangoso, così abbiamo potuto osservare le tracce di molti animali ( cinghiali, istrici e caprioli), in un punto siamo incappati anche in una bella frana anche se facilmente aggirabile.
Ad un certo punto, in dirittura d'arrivo, sopraggiunge il classico rumore di un torrente: è la Ventia che poi si fa vedere e si deve guadare due volte.
Nei punti più panoramici dell'itinerario si apre un’ampia vista, dietro la sagoma imponente dell'abbazia sorge lontana Perugia con il suo inconfondibile "skyline", e continuando ecco la vista del Monte Tezio e Monte Acuto sulla sinistra, con l’Appennino umbro-marchigiano sulla destra ( il Monte Cucco e il Catria).
In tutto questo giro non si perde quasi mai di vista l'abbazia, fra le cui mura molte storie si sono avvicendate.
Mi piacerebbe molto approfondire finalmente la visita al suo interno e apprezzarne la valenza architettonica. Durante l'escursione si possono già apprezzare degli elementi: intanto è riconoscibile l'impiano generale romanico-gotico, si vedono bene la facciata con un grande portale ad ogine, sormontate da un rosone in travertino, il campanile squadrato e tozzo con un ordine di colonnine sempre in travertino, la fiancata imponente, si intuisce il perimetro del monastero che lascia a nord la chiesa e si chiude attorno ad un chiostro che dovrebbe essere bellissimo, celato al suo interno!
Il prossimo 1 giugno l'abbazia aprirà le porte ai visitatori ( dal 1956 tutta la proprietà è della Fondazione Gaslini di Genova) e mi piacerebbe esserci!
Altre foto dell'intera escursione.






mercoledì 15 maggio 2013

Annibale al Trasimeno, se ci crediamo capiremo!

Comincio a chiedermi cosa e chi sto cercando. Forse Annibale non è un uomo, è una malattia. E noi siamo solo gli ultimi di una processione di allocchi venuti in pellegrinaggio su queste pietraie alla ricerca del nulla. Così attacca Paolo Rumiz nel primo capitolo del suo libro "Annibale Un viaggio" e più o meno così la pensavo anche io prima di domenica scorsa quando ho effettuato con la famiglia il percorso annibalico al Trasimeno nei pressi di Tuoro: un itinerario storico archeologico effettuabile a piedi o in bicicletta attraverso i campi che furono teatro dell’epico scontro tra romani e cartaginesi nel giugno del 217 a.c. durante la seconda guerra punica.
Ci andiamo perché Giosuè lo ha appena studiato a scuola e … quale occasione migliore per fargli condurre la visita?
Siccome si tratta di un circuito di 16 km, per prima cosa studiamo come tagliarlo un po', avendo a disposizione solo mezza giornata, senza danneggiare la forza evocativa dei luoghi che hanno reso celebre questo mito.
Alla fine decidiamo di percorrere l'itinerario così:
partenza dal paese di Tuoro sosta 10, segue la tappa 11 e poi a ritroso le tappe dalla 4 alla 9 seguendo l'anello di Sanguineto. In ogni piazzola di sosta ci sono 3 pannelli informativi in 4 lingue: un pannello riporta la mappa del circuito e la localizzazione attuale, in un altro ci sono immagini con approfondimenti scritti che riportano le fasi della battaglia e aiutano a calarle nel paesaggio attuale ( praticamente quasi intatto da 20
secoli), l'ultimo pannello mette a confronto, mediante delle infografiche, le 4 teorie principali sulla Battaglia ( Brizzi-Gambini, Susini, Fuchs-Pareti-De Sanctis, Nissen). Noi ci siamo meno interessati a quest'ultimo aspetto prettamente scientifico, mentre ci è piaciuto di più credere al mito, pur sapendo che qualche cosa poteva essere solo una leggenda; se ci crediamo capiremo, come dicevo nel titolo parafrasando le parole di Rumiz! Ci piacciono le narrazioni che questi luoghi riecheggiano da secoli e perché dovremmo non crederci? In fondo sono solo un pretesto per viaggiare nella memoria e questo è esattamente quello che in genere si cerca in un viaggio!

Al centro del paese di Touro per chi …avesse bisogno di una ripassatina sulla vicenda storica, si trova il centro permanente di documentazione sulla battaglia del Trasimeno, noi lo abbiamo trovato chiuso, sicuramente siamo piombati lì troppo presto di mattina..ma per fortuna c'avevamo Giosuè fresco di studi che ci ha introdotto nella cornice storica della battaglia, così siamo partiti in camminata esercitando anche l'immaginazione.
La passeggiata è superba, inutile dirlo, dal punto di vista naturalistico e le storie che si scoprono su questa vicenda molto interessanti e curiose, così provo a trarre qualche considerazione.
Intanto i romani, guidati da Flaminio, cadono in un'imboscata del tutto prevedibile, chiunque osservando da quassù la geografia del Trasimeno e delle sue colline capirebbe che sono un tenaglia naturale …ma i romani ci sono entrati dentro trovando la morte in 15 mila su 25 mila, proprio qui nella piana tra il lago e le colline.
Le truppe romane avvolte nella nebbia del mattino proprio non dovevano averci capito nulla di quanto stesse succedendo. I cartaginesi li attaccarono scendendo dalle colline, e fù una confusione massima!
Alla sosta 7 ( il punto in cui Annibale sferrò l'ordine di attacco) mi è venuto proprio da ridere, (sarò crudele a tifare per i cartaginesi?) da quassù i cartaginesi dovevano aver avuto ampia e bella vista sulla colonna romana che stava costeggiando la riva del Lago! Perché la trappola di Annibale avesse avuto successo, era necessario che la colonna dell'esercito romano fosse stata il più allungata possibile ed interamente esposta all'attacco,  da quassù li avranno visti sfilare uno ad uno al Malpasso ( sosta 2, un imbocco stretto alla riva del lago) ed entrare nella più grande imboscata della storia militare: la loro! Solo un fesso poteva entrarci! Leggendo cosa ci racconta Rumiz del suo viaggio accompagnato direttamente dal professor Brizzi, sembrerebbe esserci una spiegazione: secondo Brizzi i romani in guerra erano leali, ritenevano che in battaglia non si dovessero fare trucchi, ci si schierava in campo aperto e si combatteva e basta; Annibale, invece, essendo cartaginese era intriso di cultura greca, e per lui l'astuzia era una virtù di guerra. Giosuè conferma questa teoria, mi dice: "i cartaginesi erano furbi!" e così anche io avvaloro la tesi del Brizzi!
I romani non solo si trovarono in svantaggio numerico( i cartaginesi erano 60 mila mercenari fra cartaginesi, galli e iberici), ma per di più i due consoli che li guidavano ( Flaminio e Servilio) erano distanti tra loro e incapaci di collaborare, Servilio doveva essere arrivato a Foligno oramai ( percorrendo proprio la via Flamina fatta costruire dal collega), mentre Flaminio si trovava da solo al Trasimeno. Un grave errore che gli costerà la vita insieme ad altri 15 mila dei suoi!
Flaminio venne ucciso in combattimento nella piana del Trasimeno ( sosta 6) da un guerriero insubro dell'esercito cartaginese partito  a testa bassa verso di lui. Ducario si chiamava: un gallo. Secondo Livio fu lui a riconoscerlo nel mezzo della confusione della battaglia ( 85 mila persone che combattono corpo a corpo!) e a trafiggerlo. Livio scrive anche che gli taglio la testa.
Dicono che la salma sia rimasta in mano ai romani e seppellita nei pressi del Trasimeno, ma ti pare che in zona non ci sia da nessuna parte un reperto archeologico di questa tomba? Per me ha fatto la fine degli altri: spogliato dell'armatura, arso nelle camere di combustione per mano degli abitanti del posto che manco lo avranno individuato in mezzo agli altri corpi ( migliaia e migliaia tra romani e cartaginesi).
Alla tappa 9 si possono vedere questi forni di cremazione, fatti realizzare da Annibale vittorioso per "ripulire" la campagna dai corpi. Si chiamano ustrina. Se ne vedono le imboccature, sono scavati sotto terra, prevedevano un fuoco sulla base sottoterra e sulla imboccatura una griglia di legno sulla quale adagiavano i corpi che bruciavano insieme al legno.
Per noi questa è stata l'ultima tappa del percorso, dalla tappa 9 siamo ritornati al centro di Touro.
Dopo questa prima esperienza, sarebbe interessante seguire il cammino di Annibale in qualche altro luogo del Mediterraneo e continuare ad approfondire il mito e il contromito dell'imperialismo romano di ieri e di sempre: un bel viaggio!
Visualizza altre foto dell'escursione

domenica 5 maggio 2013

Perugia e la sua via delle acque. Un'escursione a Monte Pacciano.

 
Oggi vi racconto storie d'acqua sulla mia città: Perugia. Una storia che risale all'epoca medievale, per quanto altrettanto interessante sarebbe parlare di come la città si organizzava nel periodo etrusco e romano per l'adduzione dell'acqua, ma la storia di oggi risale al 1254 quando il Consiglio Generale del Popolo del prosperoso Comune di Perugia decise di realizzare in piazza San Lorenzo ( l'attuale Piazza IV Novembre) una grandiosa fonte ( la Fontana Maggiore) unitamente al relativo acquedotto di adduzione. La fontana è il simbolo della città e chiunque la visiti ne va a conoscere la grandiosa opera artistica, ma io mi sono incuriosita all'aspetto idraulico e ho voluto seguire la via che le acque fanno dalle sorgenti alla città. Il progetto di riunire le sorgenti di Monte Pacciano, di costruire le necessarie cisterne e l'acquedotto fino alla città fu affidato a Fra Bevignate e all'ingegnere idraulico Boninsegna Veneziano.
Abbiamo fatto un’escursione lungo questo itinerario appassionandoci a …cosa c’è dietro al rubinetto di casa, eh sì perchè in realtà i conservoni di Monte Pacciano sono ancora usati oggi come riserva d’emergenza nei periodi di siccità. 

L’escursione si può effettuare in 3 fasi:



-        un trekking ad anello nella zona di MontePacciano nei luoghi della sorgente della Barigiana, della Conserva delle Vene, dei Conservoni Vecchi con relativa visita al museo delle acque. ( 3 - 4 ore)




-        un itinerario lungo il tracciato dell’acquedotto che attraversa la Valle della Conca: Sant’Orfeto, San Marco, Montegrillo, Ponte D’Oddi, fino al Monastero di Monteripido ( questo noi l’abbiamo effettuuato in macchina fermandoci nei luoghi panoramici in cui sono visibili le arcate dell’acquedotto, 30 minuti)




- la visita in città: si entra a Perugia per la Porta del Cassero e si arriva fino alla Fontana Maggiore passando per la famosissima Via dell'acquedotto. ( permanenza a scelta)









L'escursione inizia in prossimità della Conserva delle Vene ( in località San Marco, si seguono le indicazioni per monte Pacciano - museo delle acque), si trova un piccolo parcheggio dove si può lasciare la macchina e iniziare la camminata. 
Il bosco si alterna alle radure,  quando si giunge ad un'area nuda, incolta, assai ampia denominata Posto Bello ci si apre un panorama superbo su gran parte della catena appenninica, la media valle del Tevere, il Monte Subasio e tutta Perugia. Poi, più vicini si vedono Montenero, Montebagnolo, Montelaguardia e sulla destra chiude ancora Perugia, che si distende in tutta la sua bellezza medievale, facendo capolino tra le verdi colline.
A seguire in direzione di Montenero, Montebagnolo e Montelaguardia ci si inoltra in un bosco misto di conifere e di querce caducifoglie fino a che sbuca alla vista, vicina e imponente,
la sagoma del Monte Tezio in primissimo piano. Ora ci troviamo in un contesto di aree agricole con la presenza di qualche casale e da qui si può concludere l'anello in vari modi: si può proseguire fino alla Rabatta oppure riaddentrarsi nel  bosco godendosi le numerose specie arboree quali cerro, roverella, carpino, acero, corbezzolo e castagno ( noi abbiamo fatto così) giungendo in entrambe i percorsi ai vecchi conservoni e alla vecchia casa del custode delle acque che impediva furti e avvelenamenti e che ora è un museo.


La visita al museo delle acque ( aperto da maggio a settembre le mattine di  sab e dom) è molto interessante soprattutto per chi cammina con bambini, il museo è organizzato in due sezioni: una curata dal POST dedicata all'acqua come risorsa e l'altra dedicata a questa grande storia dei conservoni e dell'acquedotto di Perugia. Gli appassionati della storia di Perugia, potranno conoscere molte informazioni e aneddoti tra cui il più sorprendente è sicuramnete il fatto che l'acquedotto fu danneggiato per mano dell’uomo ( hanno dovuto ricostruirlo interamente 2 volte nel 1317 e nel 1884); molti infatti depredavano l’acquedotto per procurarsi il piombo delle tubature o addirittura ne deviavano il corso per garantirsi l’acqua sufficiente a irrigare i propri terreni. Nel 1641, ad esempio, si scoprì come il normale afflusso di acqua fosse impedito da tre diversi conventi di clausura della città, e in special modo dalle monache del convento di sant’Antonio di Padova.
Il museo aiuta a capire anche la natura delle acque conservate nei vari serbatoi: ce ne sono sorgive ( quelle della Conserva delle vene) e ce ne sono piovane ( quelle del Conservone Vecchio), un escursionista attento può intuirlo anche prima di apprenderlo all'interno del museo: il terreno della zona di Monte Pacciano è sabbioso, di tipo alluvionale quindi permeabile e presuppone un acquifero per porosità, invece il vicinissimo Monte Tezio è di origine calcarea e pertanto permette un acquifero per fessurazione dando origine alle sorgenti ( del Faggeto e della Barigiana).

Terminata la visita al museo, si può ripartire con la macchina sul percorso dell'acquedotto.
Sorprendono le arcate di Monte Spinello, le più alte, ne sono visibili 4 e per più di metà dell'altezza sono coperte di vegetazione.





Quando giungiamo in prossimità della porta del Cassero di Perugia, entriamo e andiamo a rivedere con occhi diversi la via delle scalette dell'acquedotto e la fontana, che se pur ce l'abbiamo davanti tutti i giorni non l'avevamo mai considerate da questo punto di vista.

Guarda altre foto dell'escursione.

 

giovedì 25 aprile 2013

Camminata sulle tracce della Brigata proletaria d'urto San Faustino


Quest'anno il 25 aprile lo abbiamo festeggiato così: alla scoperta della zona operativa della "Brigata Proletaria d'Urto San Faustino", la formazione partigiana nata già dal settembre del 43 nella zona di Pietralunga.
Organizzo questa escursione per i miei bambini, studiando molto bene e documentandomi con testi e foto in modo che per loro possa essere semplice immaginare questi giovani alla macchia, le loro facce, le loro azioni, le vicende. Ho chiesto aiuto all' ANPI di Pietralunga, che sapevo aveva organizzato già in passato questa escursione sui sentieri della resistenza, e ho ricevuto da Matteo Truffelli precise indicazioni sull'itinerario, così stamattina siamo partiti con il programma di percorrere da Montebello a Morena i sentieri usati dalle staffette per la consegna degli ordini fra i gruppi di Montebello, Cairocchi e Morena.



Ci troviamo quasi al confine con le Marche, si vedono vicinissime le vette dell'Appennino umbro-marchigiano oltre le quali al tempo operava la V Brigata Garibaldi, da qui si controllavano importanti linee viarie così la brigata San Faustino sin dall'inizio si dedicava ai sabotaggi, alle interruzioni stradali, agli attacchi ai presidi della milizia fascista della zona.
Lasciamo la macchina a Corniole, una località fra Pietralunga e Cagli. Da qui saliamo a piedi fino a Montebello, un colle su cui si adagia perfettamente nascosta una casa: il rifugio dei ragazzi di Montebello.

Qui c'è tempo per leggere qualche storia e riportare nel nostro diario alcune parole, quelle iscritte nella targa posta a memoria.
Poi scendiamo, è tempo di incamminarci in direzione della località di Morena. Morena, frazione nel comune di Gubbio, è stata la seconda sede della Brigata , subito dopo l’arresto, a San Faustino, del principale promotore della  Brigata il perugino Bonucci Bonuccio. Da Morena partivano gli ordini per i vari gruppi. A Morena i partigiani potevano contare sull'aiuto di un prete, il "prete bandito" Don Marino Ceccarelli.


Proprio su questa fetta di territorio si concentrarono i rastrellamenti delle truppe tedesche tra marzo e maggio del 1944, con gli alleati già attestati su posizioni non distanti dalla piana di Gubbio. La furia nazista colpì uomini, donne e ragazzi innocenti, incontrati per strada mentre tornavano dai campi e trucidati davanti alle proprie famiglie. Il borgo contadino di Morena fu dato alle fiamme, proprio per ritorsione contro i partigiani di don Marino. Neanche la chiesa fu risparmiata. Don Marino riuscì a fuggire, scampando un destino terribile, visto che i tedeschi minacciavano di volerlo appendere sulla croce del cimitero della sua frazione. E' morto da pochi anni: noi andiamo a vedere cosa resta di queste storie a Morena.


Il percorso è piacevole ( 7-8 km), qualche strappo di salita, ma del tutto affrontabile anche dalla nostra formazione ( 2 adulti, 4 bambini di cui 1 con passegino).
Il paesaggio ci cattura letteralmente, scesi dalle Corniole, dopo circa 1 Km, prendiamo una strada imbrecciata sinuosa che ci conduce in un operoso paesaggio agricolo, scorgiamo il vecchio mulino e poi su fino al paese.



Sulla starda troviamo un amico: un cagnolino che ci accompagnerà poi per tutto il ritorno. Sicuro di sè ci porta alla chiesa, eccola, ora perfettamente ricostruita, purtroppo non troviamo nessuno che ci racconta dal vivo le storie e allora ci sediamo nel prato e le leggiamo e disegnamo con gli acquerelli.
Non so se sono riuscita a far capire qualcosa di questa grande storia della Resistenza Altotiberina ai bambini, però ci ho provato, e adesso che scrivo e guardo ancora le foto di questi ragazzi della San Faustino, penso che c'è ancora un pò di onore nell'essere italiani. 

Tutte le Foto dell'escursione

martedì 5 marzo 2013

L'amore dietro al pagliaio

Rosa fresca aulentissima, è così che lo spasimante definisce la sua "madonna" nella tenzone di Cielo D'Alcamo, autore vissuto alla corte palermitana di Federico II nella prima metà del 13° secolo ritenuto tra i primi autori della letteratura italiana e così comincia anche a raccontare Tommaso Bigi al museo Le Garavelle sabato sera 2 marzo
Tutti riuniti al focolare ad ascoltare.
Dovevo capirlo subito che questo salto indietro nel tempo in un'epoca in cui per rubare un bacio ci si nascondeva dietro il pagliaio, ci avrebbe inevitabilmente portato a fare i conti con la condizione femminile e il ruolo della donna nella società! Insomma, di ritorno da questa bellissima serata organizzata dalla cooperativa sociale Il Poliedro, mi rimane insieme al fascino per il gusto, le abitudini, i valori di un nostro passato popolare, anche una certa incazzatura ( si può scrivere incazzatura in un blog?) per questa incessante ricerca d'uguaglianza fra uomo e donna anche ( e soprattutto) se si parla di "amore" con la a maiuscola o minuscola che sia!
Ma rapita dall'affabulazione del cantastorie Bigi, non me ne curo inizialmente e mi lascio trasportare dai racconti a Venezia, nell'atmosfera ironica ed erotica della commedia La Betìa di Ruzante.  Anche questa una tenzone d'amore tra il contadino Zillio e la Betìa, dove le metafore, i temi, i toni, le immagini, anziché attingere al mondo dello spirito, dell'angelicato, del paradiso, attingono alla ruspante concretezza contadinesca della materialità quotidiana, al corporale, al sensibile, all'animalesco. Ecco piano piano, ricordando l'Historia de duobus amantibus di Enea Silvio Piccolomini e la incredibile storia del duca Vincenzo Gonzaga e della sua "verga", ci avviciniamo sempre più al tema della serata: l' amore presso il popolo contadino di 100 anni fa. Qualcosa di animalesco. Inutile girarci atttorno, dice Tommaso Bigi, la donna era considerata al pari di una bestia da acquistare al mercato. 
Ma anche in questa situazione di assoggettamento, forse c'era spazio per i sentimenti.
Tommaso ci parla di un amore fatto di sguardi e avvicinamenti alle veglie, sull'aia, alla messa, un amore consumato nella stalla,  nel bosco mentre la donna pascolava le pecore ( ma in questo caso molto spesso era una violenza e la colpa era sempre della donna consenziente), nei campi, e poi più avanti, amore sulla lambretta o nella 500. 
Ma in tempo di guerra o dopopguerra, quando gli uomini emigravano, ci si sposava anche per procura. Moglie e buoi dei paesi tuoi! Non fa una piega! E così a molte donne capitava anche di sposarsi con uno sconosciuto ... neanche presente alla cerimonia!
Veniamo pertanto ai racconti dei matrimoni e di tutta la ritualità che li accompagnava: il fidanzamento, i complimenti ( regali fra parentado), il pranzo rigorosamente preparato dalla sposa, il corredo, la dote, la serenata e poi la gravidanza, il parto, la quarantena. Una vita difficile per la donna! 
Durante la serata ci vengono offerti i confetti, gli zuccherini ( dei dolci a forma di anello fatti con farina, acqua, anice), beviamo il rosolio, osserviamo e ascoltiamo Giuseppina e Francesca, ricamatrici della ditta Busatti, che ci dimostrano il lavoro al tombolo e i loro manufatti pregiati e antichi...ridiamo e scherziamo con gli aneddoti di Tommaso sulle prime notti di nozze, e addirittira arrivano anche due "sonatori" con la fisarmonica, il clima della serata è squisito, si fa dolce e nostalgico ma a me viene una gran tristezza ...perchè non riesco a vedere nessun segno di emancipazione per queste donne di cui abbiamo narrato tutta la serata, per queste che sono state anche le mie nonne
Ma per fortuna una speranza mi arriva, quando Tommaso ricorda cosa portavano con se le donne quando si trasferivano a casa del futuro marito:
il credenzone con il corredo, la macchina da cucire, e la BICI!!! EVVIVA! Finalmente un segno di emancipazione!
La testa mi si riempie di immagini di donne in bicicletta: suffragette, staffette partigiane, eroine che si battono per il diritto di voto e la libertà...fino ad oggi ! Penso alla bambina saudita Wadjda sulla sua bicicletta verde: un film che racconta di un paese dove le donne, ancora oggi, non possono guidare l’auto, votare, lavorare sotto retribuzione, sposarsi senza il consenso del padre. Quasi 150 anni dopo, la bicicletta ancora non ha esaurito la propria forza emancipatrice nei confronti del genere femminile! 
Questa serata al museo Le Garavelle assume il valore di tenere viva la memoria per non dimenticarsi le lotte femminili per ottenere il riconoscimento della piena dignità! Almeno per me questo ha significato e sono orgogliosa di esserci stata!
 
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